Ormai abbiamo preso famigliarità con la mascherina protettiva e per molti sembra essere diventata il nemico pubblico numero 1. La sua parabola sta volgendo al termine, ma resterà qualcosa di lei in futuro?
Mascherine chirurgiche, lavabili, personalizzabili, più o meno protettive, a norma di legge e non. La mascherina è entrata prepotentemente nelle nostre vite a inizio pandemia da coronavirus. Se n’è discusso per ere geologiche, a tutto tondo.
All’inizio a discrezione, diventarono poi obbligatorie con la fase 2, (lunedì 4 maggio) in base al Dpcm del 26 aprile, l’uso della mascherina è diventato obbligatorio nei luoghi chiusi accessibili al pubblico.
Erano anche diventate anche introvabili, le persone cominciarono a farne incetta. Non tutti: chi era abituato al lavoro, magari con materiali legnosi o vernici spray ne aveva già una buona quantità a casa. E aveva anche quelle più protettive, le FFP2 e le FFP3, con i filtri. Molti convertirono le loro attività produttive, per compensare un’offerta decisamente inferiore alla domanda. Alcuni mossi dal proprio senso civico, cominciarono a cucirle in proprio, per donarle ai vicini di casa e agli amici, dando un tocco artistico personale al tessuto.
Ma quanto costò al singolo individuo, questa protezione “pubblica”? Per alcuni, moltissimo. Pensiamo a chi lavora nei supermercati in prima linea, ai più anziani, e sicuramente alle persone che già avevano patologie. Sudore al viso, comparsa di dermatiti, difficoltà respiratorie, chi più ne ha, più ne metta. A volte anche solo nervosismo: ma non è affatto da sottovalutare.
E’ curioso il fatto che in Italia ed in Europa, la mascherina sia pressoché una novità sociale, relegata all’uso solo in alcuni ambiti lavorativi. Basta infatti un viaggio nel continente asiatico, per rendersi conto di quanto si usata dalla popolazione, anche solo per proteggere e isolare un banale raffreddore.

A parte le numerosissime immagini delle megalopoli asiatiche piene di smog con i cittadini col viso coperto dalla mascherina, è normale trovare personale nei negozi che la indossa. Anche solo per isolare un banalissimo starnuto. Un audace stilista (Yin Peng) l’aveva anche introdotta come accessorio nella sua collezione presentata alla China Fashion Week del 2014.

Sembra che per quelle popolazioni sia un’usanza nata legata più che altro a temi sociali ed onirici, più che una vera protezione. Usanza che in ogni caso si è ampliata con l’aumento dell’industrializzazione. E’ indubbio che poi ci siano delle implicazioni di tipo civico. Gli orientali sono molto rispettosi, in questo senso. Non è affatto strano, che tentino di minimizzare l’effetto di uno starnuto, da raffreddore. Un pioniere purtroppo inconsapevole, fu Michael Jackson. Fu uno dei primi ad apparire con un mascherina artistica come poche ne avevamo viste prima.
Non è una brutta idea, dunque, usare la mascherina anche per proteggere o isolare la nostra banale influenza. A tutti danno fastidio gli starnuti liberi, anche quando sono solamente frutto di un’allergia non infettiva. Tutto, come al solito, sta nel buon senso e nel poterla usare a discrezione, senza abusarne. Se usata con intelligenza può essere un buon modo per aumentare, anche se di poco, la salute e il benessere della comunità circostante. Possiamo rifletterci, quando in autunno compariranno i primi raffreddori stagionali.
Per ora la mascherina continua ad essere un accessorio indispensabile, da usare nei luoghi chiusi ed affollati, come alle entrate e negli spogliatoi delle palestre. Dovremo ancora portarla con noi per molto tempo e chissà se ci abitueremo e la useremo anche solo per senso civico, una volta che il coronavirus sarà alle spalle, grazie ad un vaccino.