Sulla Libertà. Il ricordo di un attimo, nell’aria di primavera

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Ho scattato questa foto l’8 marzo scorso, il “giorno della liberazione”, così l’ho definito. Dopo due settimane durante le quali Vo’ Euganeo, il paese in cui vivo, era stato blindato in quanto epicentro veneto del contagio da Coronavirus, intorno alle 14 di domenica scorsa sono stati rimossi tutti i varchi di controllo che filtravano uscite e ingressi dell’area isolata. Era una bellissima giornata di sole, quasi primaverile, e così, intorno alle 13.30, ignara del fatto che a breve “ci avrebbero liberati”, ero andata a fare una passeggiata e, dopo circa mezz’ora di cammino, oltrepassando l’abitato di Boccon, ho proseguito lungo il pendio di Castelnuovo. Lì mi sono imbattuta in un gruppo di militari che si stavano preparando per lasciare il posto di blocco. Ho pensato di immortalare il momento, scattando loro una foto che mi avrebbe permesso di non dimenticare mai quanto stava accadendo. Uno dei militari, essendosene accorto, mi ha prontamente chiesto di cancellarla. “Poco male”, mi sono detta. Mi sono voltata e ho visto un meraviglioso panorama da fotografare: guardare l’orizzonte lontano e respirare la leggera aria primaverile è stato il modo migliore per fissare nella memoria quel momento. Tutto quello che avevo di fronte agli occhi esprimeva perfettamente il senso e il valore della libertà ritrovata. Il ricordo nitido di quell’attimo che non dimenticherò mai è contenuto in quest’immagine.

Già dal mattino le notizie che ci arrivavano sulla possibilità di una riapertura di Vo’ erano incerte e contraddittorie. Non si sapeva cosa pensare e, a dire il vero, cosa sperare. Da una parte c’erano la voglia di ritrovare familiari e amici al di fuori dei confini vadensi e la necessità di tornare alle proprie attività lavorative, dall’altra, la paura di entrare in un ambiente non più isolato e non più protetto come ormai era diventato Vo’. Il giorno precedente, infatti, eravamo stati sottoposti al secondo esame del tampone. L’Università di Padova, sostenuta dalla Regione Veneto, aveva avviato un nuovo screening per studiare l’evoluzione del virus e le principali caratteristiche: il primo studio internazionale sulla storia naturale del Covid-19 e, per gli abitanti di Vo’, un modo per sentirsi più controllati, sicuri e utili nella battaglia contro la malattia.

Tutto, però, stava di nuovo cambiando. Il nostro periodo di reclusione era terminato, ma solo in apparenza. Diventavamo parte di una prigionia dentro confini più dilatati. Il giorno stesso, l’8 marzo, l’intera provincia di Padova è stata dichiarata zona rossa. Divieto di entrata e di uscita da tutto il territorio provinciale, bar chiusi alle 18, centri commerciali aperti solo dal lunedì al venerdì. Misure restrittive che, in pochi giorni, sarebbero divenute ancora più drastiche. Qualche giorno dopo, ecco il nuovo decreto del Governo: l’Italia intera era dichiarata zona rossa. L’11 marzo il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha stretto ulteriormente le maglie delle aperture dei locali e ha stabilito che la regola principale è di limitare gli spostamenti alle attività lavorative e per motivi di salute e necessità.

La libertà appena conquistata, mi sono presto resa conto, è stata la bella sensazione di un attimo, ma un’illusione e, forse, un pensiero ingenuo. Ora non si tratta più di pensare a quanti giorni manchino per arrivare alla conclusione di un periodo limitato. Si tratta, invece, di cambiare abitudini, di vivere giorno per giorno con una pazienza e un impegno diversi da quelli che impieghiamo nelle nostre normali attività quotidiane. Si tratta di sperare fortemente che quello che stiamo vivendo possa presto divenire un brutto ricordo accettando il fatto, allo stesso tempo, di non esserne poi così sicuri.