L’Italia on-air la radio è per sempre

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Le radio libere degli anni ’70, la dittatura dello smartphone, l’interattività con il pubblico, il linguaggio: come cambia la radio? Ne hanno parlato a Cortina tra le Righe, la settimana di formazione giornalistica ad alta quota, la conduttrice Enrica Bonaccorti, il capo della comunicazione Radio Rai Lorenzo Briani, Giorgio Zanchini di Radio 1 e Maurizio Di Maggio di Radio Montecarlo.
Obiettivo dell’incontro era quello di offrire una panoramica varia del panorama radiofonico – pubblico e privato – e soprattutto ragionare insieme sul linguaggio della radio e la sua evoluzione.
Enrica Bonaccorti ha ripercorso le origini del suo amore per la radio, nato quando aveva solo 19 anni. Migliaia le ore di diretta radiofonica al suo attivo. Tra i suoi successi, “Per chi suona la campana”, premio ‘Maschera d’argento’ 1975/6, o ‘Chiamate Roma 3131’, per il quale ha vinto importanti premi giornalistici. Dal 2006 è di nuovo su RadioRai, con “Ipocrity Correct” e poi con “Tornando a casa”. Recentemente è stata ospite settimanale in ‘Me anziano You tubers’, che ironizza sui rapporti intergenerazionali e la tecnologia. “La radio è il mezzo che tiene più in compagnia in assoluto, “ammazza” la solitudine, è profondamente utile, conserva la sua ragione d’essere. Ecco perché credo che sia eterna e indistruttibile: sopravvivrà al progresso e all’avanzamento tecnologico, dal momento che risponde a dei bisogni profondi, e lo fa meglio di altri media”.
Il pubblico ha potuto ascoltare spezzoni tratti dal programma curato da Di Maggio, su Radio Montecarlo, e da Zanchini, su Rai Radio1. Due esempi che procedono in direzioni opposte: da un lato una format dal tono scherzoso e spensierato, che accompagna il lancio dei dischi, dall’altro una trasmissione di approfondimento, senza intermezzi musicali, considerati, in questo contesto, un elemento di distrazione. A partire da questi audio, gli ospiti hanno evidenziato le differenze di linguaggio, approccio, target.
Di Maggio, viaggiatore e globetrotter, era anche l’autore di un altro spezzone proposto al pubblico: la descrizione di una località di montagna. “Rispetto alla televisione abbiamo un limite che in realtà è un vantaggio: non ci sono immagini, ma siamo in grado, solamente con le parole, di far viaggiare chi ci ascolta verso luoghi remoti, ad occhi chiusi” ha spiegato. “La voce, il tono, il calore che trasmettiamo racconta molto anche di noi stessi, gli ascoltatori finiscono per conoscerci e sviluppare un legame forte”.
Ma la concorrenza non manca: nuovi strumenti si sono affacciati al mercato, creando scompiglio. “Altro che televisione: i competitor più temibili della radio sono i social network” ha commentato Giorgio Zanchini. “È un mondo che commenta incessantemente 24 ore su 24, non tace neanche per un istante, e arriva prima di tutti. Già a partire dalla mattina i social hanno detto tutto, bruciando sul tempo tutti gli altri, e i nostri programmi informativi, a mezzogiorno o nel pomeriggio, sono sorpassati”. Ma la radio resiste. “Al risveglio, o in auto, quando vanno e vengono dal lavoro, gli italiani preferiscono essere confortati, intrattenuti, informati, aggiornati da noi”.
Le domande del pubblico hanno orientato il dibattito verso il futuro della radio, alla luce della contrapposizione tra la ricerca di una qualità elevata ma di nicchia, e la rincorsa ad ogni costo degli ascolti, puntando a un intrattenimento dagli scarsi contenuti. Una tensione dinamica che attraversa il mondo della radiofonia.
“La nostra storia – ha raccontato Maurizio Di Maggio – è iniziata quando un gruppo di imprenditori geniali, 30 anni fa, ha avuto l’intuizione e i mezzi per entrare in questo mercato: vere dinastie familiari come i fratelli Hazan, a Radio Montecarlo, o i fratelli Montefusco, a RDS, o i fratelli Suraci a RTL. Purtroppo oggi si scade inevitabilmente, e la radio commerciale rischia di venire consumata”.
Anche sul versante pubblico c’è preoccupazione, ha confermato Lorenzo Briani.
“A parte Radio3, che ha la sua nicchia di un milione e mezzo di ascoltatori, costituita da lettori forti, Radio2 e Radio1 sono creature più ibride, sospese tra le esigenze di mercato e di approfondimento culturale. La grande domanda è: dobbiamo accompagnare la frammentazione contemporanea, come chiamo la tendenza a parcellizzare l’attenzione, distratti dallo smartphone, o contrastarla, a costo di perdere pubblico per strada? Oggi i tempi di parola sono sempre più corti e intervallati da musica. Ma dopotutto paghiamo il deficit culturale italiano, siamo uno dei paesi dove si legge di meno in assoluto”.
La radio italiana si contraddistingue per la quantità di programmi che chiamano in causa il pubblico, spingendolo a intervenire, ha affermato Giorgio Zanchini. ”In Inghilterra, Francia e Germania, coltivano l’idea che un servizio pubblico debba essere formativo, informativo e pedagogico, e che dare parola agli spettatori introduca elementi di demagogia e populismo, abbassando il livello. In Italia è differente, perché abbiamo nel dna la storia delle radio libere degli anni ’70, esperienze anarcoidi ed emancipatorie che hanno sdoganato il linguaggio giovanile in radio, svecchiando un mezzo fino a quel momento governato da un conservatorismo in stile democristiano. Ma ora assistiamo all’imposizione di un modello aggressivo, in cui un conduttore-domatore incita ospiti e ascoltatori a sfogare il peggio di sé, dando voce alla pancia più violenta del paese”. Sorprendentemente, i social, porta di ingresso dell’hate speech, sono anche un argine a questa deriva. “Un tempo a telefonare per intervenire in trasmissione erano pochi, e sempre gli stessi. Oggi con tutti i messaggi che ci arrivano via mail, twitter, facebook e altro, possiamo fare selezione”.